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Dalla Dea Diana a Giano bifronte e ai due Giovanni di matrice cristiana: il comparatico, origini e motivazioni

I perché della scelta devozionale giovannita, operata e vissuta dagli antichi Padri Fondatori della nostra Falcone.

La tradizione di festeggiare la figura di San Giovanni Battista è molto antica (ne dà notizia sant’Agostino già nel IV secolo d.c.) e rappresenta il tipico esempio di come si siano intrecciati e mescolati riti pagani e cristiani.

Il 24 giugno la Chiesa Cattolica festeggia la natività del Battista, data che cade proprio in corrispondenza delle precedenti feste pagane del solstizio d’ estate (fra il 19 e il 25 giugno), consacrate a Giano bifronte, il Dio custode dei due punti solstiziali, l’estivo, il 24 giugno, e l’invernale, il 27 dicembre. Durante il periodo solstiziale estivo il sole è a nord dell’equatore celeste in quello invernale si trova a sud. I solstizi rappresentavano in età arcaica l’accesso, il confine, tra l’umano e il divino.

Diana, Signora della Luna e della notte, Dea della caccia e del parto

Fin dall’antichità più remota gli uomini si erano resi conto di questi cambiamenti e li celebravano con diversi festeggiamenti. Così il cambio di direzione che il sole compie tra il 21 e il 22 giugno, riprendendo la sua corsa sull’orizzonte, era salutato come l’inizio di un nuovo periodo di vita. Questo giorno, detto solstizio estivo, è ancora oggi ricordato e atteso, in quanto primo giorno d’estate. In realtà anche se noi crediamo che cominci l’estate, dopo il giorno più lungo che è rappresentato dal 21 giugno, il sole comincia a calare, determinando l’accorciarsi graduale delle giornate. Sarà all’altro solstizio, quello invernale, in cui, raggiunta la più lunga delle sue notti, le giornate cominceranno a riallungarsi gradualmente per lasciar posto all’estate.
La parola solstizio sta per “statio del sole”, dove “statio” vuol dire dal latino “stazionamento”. Infatti in questa data il sole di mezzogiorno smette di presentarsi ogni giorno più alto sull’orizzonte e comincia invece ad abbassarsi.
Dunque, a chi osservi giorno dopo giorno l’altezza del sole alle 12 (ovvero la lunghezza delle ombre), sembrerà che il sole faccia una pausa (statio) tra il suo salire di gennaio-giugno e il suo scendere di giugno-gennaio
In epoca preistorica e protostorica, quando la scienza era poca e lasciava alla religione il compito di ridurre i rischi naturali rabbonendo gli Dei responsabili, l’istintivo timore che il sole avrebbe potuto smettere di dare quella fruttuosa alternanza di stagioni diverse, portò alla creazione di funzioni sacre volte a sollecitare il ripetersi regolare dei fenomeni celesti.
Fu però nella cosmogonia del mondo greco-romano che l’insieme di credenze, miti, culti misterici, teologie e pratiche teurgiche e spirituali trovò una ritualità regolata da cerimoniali precisi e definiti.
A tali “passaggi” astronomici sovrintendeva secondo la visione politeista romana che ripercorreva le orme di quella greca, il Dio Giano, la divinità bicefala, Signore del tempo e del destino, guardiano delle soglie, dei transiti, ma anche degli incominciamenti, dell’apertura di nuove fasi, di nuove parentesi temporali (egli esercitava la sua influenza su ogni passaggio e su ogni inizio o principio, sia in senso reale che figurato). Il nume dal doppio volto era considerato colui che presidiava tutti i varchi, quelli materiali, come le porte, le strade, i valichi, e gli archi; e quelli immateriali come l ‘incipit di una nuova impresa, della vita umana, di una nuovo periodo storico, economico, civile in cui ci si avventurava affidandosi alla sua azione protettrice.
Giano costituiva la potenza ultraterrena divinatrice e presaga dei due eventi solstiziali che con i nomi di Fors Fortuna e Sol Invictus, erano a Roma parte integrante della religione del Sole.

Giano bifronte

A tale entità divina, in quanto Dio che ‘apre’, Dio degli inizi, era dedicato il primo mese dell’anno: Januarius (gennaio). Inoltre Giano era rappresentato come essere bicefalo (con una testa secondo il simbolismo temporale, che guardava verso il passato e l’altra rivolta al futuro, una cerniera, cioè che collegava l’avvenuto all’avvenire, ieri e domani, il prima e il dopo)
Con l’affermarsi del Cristianesimo, le feste pagane solstiziali, non potendo essere soppresse per il loro forte radicamento fra la gente, furono, almeno in parte, cristianizzate, così come peraltro accadde a molte altre feste precristiane. E così il solstizio invernale fu sostituito dal Natale, e quello d’estate fu rimpiazzato dalla festa di San Giovanni.

San Giovanni Battista

Del resto la somiglianza fonetica tra Janus (Giano) e Joannes (Giovanni in latino) è evidente e porterebbe a ritenere che la collocazione delle feste dei Santi Giovanni in prossimità dei due solstizi non sia stata per niente casuale, ma servisse non tanto a cancellare il culto arcaico, tentativo difficoltoso data la sua popolarità, quanto a “riscriverlo” in termini cristiani.
Da precisare che il Giovanni solennizzato il 24 giugno, è il Battista, detto anche il”Giovanni che piange”, non solo a causa del suo triste destino ma anche perché l’astro solare in questo giorno sembra iniziare un cammino a ritroso che lo porterà a raggiungere il punto più basso sull’orizzonte alla fine di dicembre. Invece il Giovanni festeggiato il 27 dicembre, cioè al solstizio d’inverno, è l’Evangelista, chiamato anche il “Giovanni che ride”, perché il sole inizia il percorso in avanti verso la sua massima declinazione positiva rispetto all’equatore celeste.
L’abile abbinamento operato dal nuovo credo, ha consentito ai cristiani di rifarsi all’antica simbologia giocando sul parallelismo tra i due santi, raffigurandoli perfettamente uguali, ma uno ridente e l’altro piangente. Così facendo il vecchio Dio Giano fu scalzato dal suo ruolo e a vigilare sulle porte solstiziali furono posti, nella nuova visione cristiana, i due Giovanni: il primo, San Giovanni Battista, col compito di governare sul solstizio d’estate e l’altro, San Giovanni Evangelista (27 Dicembre), che presiedeva al solstizio invernale (il momento cioè in cui si concretizzava la vittoria della luce sulle tenebre, con le giornate che iniziano ad allungarsi e che il cristianesimo celebra con la nascita del Cristo, la notte tra 24 e 25 Dicembre, sei mesi dopo i natali di San Giovanni suo cugino); le date delle cerimonie coincidevano con quelle in cui a Roma i Collegia Fabrorum (le corporazioni di mestiere che secondo alcuni potrebbero essere state le antesignane della Massoneria) onoravano Giano.
La notte di San Giovanni, pertanto, commemorazione centrale anche nelle ricorrenze precristiane in cui si credeva che il sole (fuoco) si sposasse con la luna (acqua), continuò a segnare, in un filo di continuità col passato, il legame dell’uomo con la natura e la loro continua comunione. Tali appuntamenti rituali però, con l’avvento della fede cristiana, pur mantenendo in parte i contenuti spirituali, misterici ed esoterici che evocavano, si rinnovarono adottando canoni liturgici caratterizzati da minore enfaticità, con funzioni cerimoniali semplici e naturali, proprie di una società contadina e pastorale. L’Acqua e il Fuoco rimasero tuttavia i simboli solstiziali basilari e si riconfermarono in numerose feste popolari, tutto ciò, peraltro, in linea con la rappresentazione assunta dallo stesso Battista che aveva affermato di battezzare gli adepti, cioè introdurre a nuova vita, con l’acqua, (una sorta di rito di iniziazione dei seguaci con significato escatologico) ma che un altro, più potente di lui, il Messia, avrebbe poi operato una purificazione morale con il fuoco.
I riti solstiziali propiziatori celebrati sin dai tempi più lontani prevedevano tra l’altro l’accensione di grandi e durevoli fuochi che sollecitavano il Sole a non spegnersi ma a continuare gli “eterni ciclici ritorni” di stagioni e raccolti.
E’ da tali antichissime cerimonie sacrali, infatti, che discendono i tradizionali falò, o fuochi notturni di S. Giovanni (24 giugno): importante anniversario del moderno mondo cristiano, uno tra i tanti esempi di quel tenace sopravvivere delle ritualità arcaiche troppo intimamente sentite dai popoli per scomparire al mutare delle credenze religiose. Essa è la festa del passaggio dalla luce alle tenebre e viceversa,
un “attraversamento” dai profondi messaggi iniziatici ed esoterici legati al risveglio interiore.
Nella “rivisitazione” cristiana dell’evento alla figura di San Giovanni Battista, spettava il medesimo onore che era solo ed esclusivamente del Cristo,( del quale ricordiamo la nascita a Natale, ovvero, anche in questo caso, pochi giorni dopo un altro solstizio, quello invernale) cioè di anticipare la luce della Cristianità nelle tenebre del paganesimo e di preparare la venuta del Figlio di Dio e ciò proprio in coincidenza con due situazioni significative per il ciclo annuale del Sole e della Natura. E non per caso, naturalmente. Il sole calante è simboleggiato perciò dal Santo che, esaurita la sua funzione, si avvia alla morte e il Sole nascente invece incarna la metafora del Cristo Bambino che viene alla luce, dissolve il buio e si impone.
Il cerimoniale serviva, come quasi tutti i riti ignici, per esorcizzare o stemperare la paura del cambiamento, per attraversare una notte carica di energie.
Durante la notte della vigilia venivano perciò accesi molti falò, specie in cima alle colline, ai dossi o sulle spiagge: i contadini, i pescatori, con queste pire, volevano aiutare il sole, che cominciava a scendere sull’orizzonte, a restare alto in cielo per continuare ad offrire la sua energia ai campi, alla comunità. Le alte fiamme che si stagliavano nell’oscurità avevano anche il potere di scacciare entità o influssi maligni e prevenire le malattie.
Attorno ai fuochi si mangiava, si danzava si cantava, ci si cospargeva d’acqua e la notte era pervasa di magia, le lingue di fuoco creavano giochi di luce ed il Male si diradava sconfitto. Le fiamme erano tenute in vita fino ai primi chiarori dell’alba, momento in cui si lasciavano languire per dare spazio al più importante dei fuochi: il sole.
Con il trascorrere dei secoli queste pratiche andarono in parte soggette a trasformazioni Le più evidenti trasformazioni subite dai riti festivi connessi al fuoco, quando non se ne sia verificata la totale scomparsa, furono nel tempo: la diminuzione progressiva del numero dei falò, la riduzione delle loro dimensioni, il cambiamento di materiali, l’estinzione di pratiche legate all’accensione del fuoco. Ciò è avvenuto in ragione dei ripetuti interventi delle autorità municipali e delle forze dell’ordine e in alcuni casi grazie alla presenza di sacerdoti particolarmente ostili a tutte le pratiche in odore di paganesimo o comunque non ortodosse. In alcuni casi, però, la diminuzione del numero dei falò, specialmente se collegata alla cessata disponibilità di spazi fruibili, ha portato all’aumento delle loro dimensioni.
Come qualsiasi avvenimento particolare della natura anche le giornate solstiziali hanno sin dall’antichità remota attratto l’interesse e la curiosità di indovini, asceti, officianti, astronomi oltre alle persone comuni. Questi momenti erano infatti assai venerati in molte parti del mondo ed in quasi tutte le civiltà della storia (perfino nell’America pre-colombiana).
La portata e la potenza simbolica di tali eventi astronomico-religiosi, tramontato il paganesimo e “intaccata” l’era cristiana che l’ha fagocitata e rivisitata secondo i propri schemi dottrinari e teologici, non poteva non sconfinare nella sfera d’azione di sodalizi e associazioni di tipo iniziatico quali la Massoneria. Sul prologo del Vangelo di Giovanni, si apre, infatti, ogni tornata rituale muratoria, ed esso, letto ad alta voce, contiene una parte importante della Dottrina Massonica.
Celebrando San Giovanni, le logge massoniche non si limitavano a rievocare le tradizioni pre-cristiane di un periodico rinnovamento cosmico, ma tentavano anche di riportare la tradizione religiosa cristiana all’interno di un ambito sapienziale di più vasta portata: volendo così affermare che il Mito e il Simbolo, palesano, ancora una volta, la loro vitalità e la loro capacità di saper parlare, anche in questi tempi, all’uomo di oggi. Del resto il Santo fu scelto sempre quale patrono pure da quasi tutte le antiche sette cristiane esoteriche che, per alcuni versi, precorsero la nascita delle future società iniziatiche.
In genere i Massoni usavano, come ancora oggi, riunirsi in agape (termine mutuato dal greco che significa “amore” e indica, in particolare, una cerimonia cristiana dei primi secoli incentrata su un banchetto eucaristico) due volte l’anno per officiare, in spirito di fraternità e serenità, le festività solstiziali, che occupano il primo posto tra le solennità dell’anno massonico. Il solstizio è considerato, infatti, l’emblema della rinascita spirituale ottenuta attraverso la celebrazione dei riti di affiliazione iniziatica, nonché il simbolo della sconfitta del male e delle tenebre da parte del Sole e il trionfo della luce. La festa del solstizio d’inverno (27 dicembre) è dedicata a San Giovanni Evangelista in quanto egli simboleggia la faccia di Giano che è rivolta verso l’aurora e testimonia la forza vivificatrice della parola; quella del solstizio d’estate (24 giugno) a San Giovanni il Battista.
Il lettore a questo punto si chiederà legittimamente quale relazione intercorra fra la devozione dei cittadini falconesi verso San Giovanni Battista, eletto a loro Patrono, e la contaminazione, per azione sincretica, di una religione con elementi di altre e, nella fattispecie, capire quali motivi abbiano potuto portare questa nostra comunità a scegliere il Battista quale protettore e propria guida spirituale.
E’ necessario risalire al periodo travagliato dell’abbandono in massa dell’abitato di Tyndaris da parte dei suoi abitanti a seguito del forte declino della città dovuto sia ad eventi naturali (terremoti) che alle razzìe attuate dai predoni saraceni. Gruppi di fuggiaschi lasciarono quella che un tempo era stata una nobile e prospera città per rifugiarsi in più parti del territorio circostante; la parte, minoritaria, scelse di stabilirsi sulla costa sottostante al promontorio-lato est- (gli odierni territori comunali di Falcone ed Oliveri), sia per la presenza di ciò che rimaneva della vecchia struttura portuale che per l’esistenza “in loco” di alcuni piccoli corsi d’acqua utili per la coltivazione della terra.
La denominazione di “Tyndaris” si fa risalire ad eventi mitologici. I coloni greci, infatti, erano particolarmente devoti ai Dioscu¬ri, Castore e Polluce, secondo la leggenda, figli gemelli di Giove e di Leda, moglie di Tindaro, re di Sparta e altresì, chiamati Tindaridi. Ciò ha indotto i fondatori della colonia a denominare la regione Tindaride e la città, alla quale faceva capo, Tyndaris.
I Dioscuri furono così i protettori della città, come attestano parecchie monete rinvenute durante gli scavi. Altro evento, legato alla mitologia, è quello relativo allo sbarco di Oreste e alla introduzione nella Tindaride del culto di Diana Facellina. Con la costruzione del tempio di Diana, che da alcuni studi storici si deduce sia stato eretto in una contrada non lontana dalla città (“Nauloco e Diana Facellina: un’ipotesi sul territorio di Patti fra mitologia, storia e archeologia” di Nino Lo Iacono), alla Tindaride si affiancava l’Artemisio, territorio in cui predominava il culto per Artemide, la Diana dei Romani, nel quale si trovava il Nauloco, un porto militare, nei cui pressi venne combattuta una celebre battaglia navale il 3 settembre del 36 a.C.
Sappiamo, pertanto che nella Tindaride sentita e professata era la devozione verso questa divinità. La Dea era originariamente la Grande Madre, divinità femminile primordiale, presente in quasi tutte le mitologie, rappresentante la terra, la fertililità, la mediatrice tra l’umano e il soprannaturale ( proprio dalla Grande Madre derivano probabilmente le celebri “Vergini Nere”, le Madonne dal volto scuro venerate in tanti santuari, compreso Tindari). La Grande Madre – Gea per i Greci – è spesso indicata come la “divinita’ dai mille nomi” : Cerere, Epona, Amaterasu, Iside, Artemide, Diana, Demetra. Anche secondo la mitologia babilonese, durante il Solstizio d’estate, il Sole si sposava con la Luna, dando vita alla Grande Madre cornuta.
Lungo le generazioni, con gli spostamenti di popoli e la crescita di complessità delle culture, le qualità ed i poteri della Grande Madre si moltiplicarono e differenziarono in varie divinità femminili, tra cui, appunto Artemide/Diana, Signora della Luna e protettrice della caccia.
Come riferisce Nigido, scrittore ed astronomo romano, gli antichi, anche per variazioni idiomatiche, utilizzavano i nomi Diana e Jana riferendosi alla stessa divinità e Jana divenne, nel tempo, Diana e poi Giana per eufonia.

Falò notturno di San Giovanni

E’ possibile formulare, pertanto, una tesi che, per quanto ardita e non sufficientemente corroborata da elementi storici ben precisi, contiene comunque un certo fascino attrattivo e intriga non poco il ricercatore e lo storico destando interesse e stimolo scientifico. La tesi, incentrata sulla stretta correlazione tra i culti pagani professati dai Tindaridani e la nuova fede cristiana circa la scelta del Battista quale, difensore e patrocinatore dei destini della comunità, che si affida all’esame e all’approfondimento di quanti intendano occuparsi in futuro di questo aspetto della storia falconese, può articolarsi, in sintesi, nei seguenti punti:

a. Giano, precursore ed “alter ego” del Battista, era il Dio dell’inizio, di ogni principio e dunque, come tale, dell’Iniziazione stessa. Un Dio promotore, insomma. Per questo veniva invocato per primo in ogni rito, in ogni cerimonia, in ogni progetto che ci si accingeva ad intraprendere. E proprio quello sparuto gruppo di profughi, avi degli attuali cittadini di Falcone, stava proprio arrischiandosi nell’ avventura di dar vita ad un nuovo insediamento urbano, con tutte le incognite ed i pericoli che ciò comportava.;
b. Non si può non tenere conto che tra Ianus (Giano) e Ioannes (Giovanni in latino) ci troviamo di fronte a due suoni quasi identici. Poi si consideri che a Giovanni Battista, nella concezione cristiana, venne affidato il controllo sul solstizio d’estate (24 giugno) e a Giovanni Evangelista, quello d’inverno (27 dicembre). Queste due date, scrisse il Guénon, filosofo tradizionalista, erano le stesse in cui nell’Urbe si festeggiava Giano durante i Collegia Fabrorum. E molti templi dedicati a Giano vennero distrutti per edificarne, sulle loro ceneri, altri dedicati ai due santi cristiani, suoi eredi;
c. Macrobio, filosofo romano, nei Saturnalia (IV sec. d.c.) associava i due volti di Giano in una stessa entità, cioè sosteneva, ma era opinione largamente diffusa, che fossero due divinità interscambiabili, lato maschile e femminile di un’unica realtà ( proprio come i due Giovanni che taluni teologi ritennero essere un’unica figura spirituale);
d. Originariamente Giano era annoverato tra le divinità marine o “acquatiche”, e i profughi tindaritani erano abili uomini di mare e desiderosi di fondare un nuovo insediamento sulla costa che vivesse anche dei frutti della pesca, quindi Giano ben si confaceva come punto di riferimento alla loro natura e ai loro disegni;
e. Il <dies natalis> dei santi, quello nel quale vengono ricordati nel calendario, corrisponde al giorno della morte: morendo, nascono in Cristo. San Giovanni è l’unico santo di cui si festeggia solo la nascita (la fondazione, appunto, di una nuova patria)
f. Il Dio Giano, controllava le vie d’accesso energetico a Roma, da un colle particolare, il Gianicolo., che da lui prendeva il nome. E proprio da un colle, luogo di irradiamento morale e mistico, provenivano i fuggiaschi tintaridani.

Ma quali sono le ritualità antiche legate alla festività cristiana del Battista, e a quelle ancora precedenti di radici pagane, sopravvissute all’azione cancellatrice o comunque obnubilante del tempo che scorre e del mutare incessante degli eventi, e che ancora oggi resistono, sebbene in forma limitata ed incompleta e spesso del tutto inconsapevole in chi li pratica sugli arcani e remoti contenuti magico-misterici che ne stanno alla base ? Proviamo a ricordarle concisamente non senza aver prima manifestato profondo rammarico nell’assistere alla loro graduale sparizione, travolte dal vortice dei tempi contemporanei, insensibili ad ogni retaggio e ad ogni richiamo alle tradizioni dei padri:

1. Recarsi all’alba sulla riva del mare per delle salutari abluzioni, ritenute utili a preservare da dolori e malattie;
2. Porre sotto il guanciale alcune erbe, chiamate “erbe di San Giovanni”, (menta, salvia, felce, rosmarino, aglio, etc..), legate in mazzetto in numero di nove, per avere dei sogni premonitori
3. Strofinarsi con la cenere lasciata dal falo’ alcune parti del corpo in segno augurale e per scacciare dolori, mali ed avversità.

Il Comparatico (a cumparanza):
Il bisogno del sovrannaturale sta nel profondo della natura umana e non si può negarlo senza mutilare questa natura stessa. (Julius Evola)

Il solstizio d’estate, ed il rituale che lo caratterizzava, vide i popoli di Sicilia, ed perciò anche la nostra gente, protagonisti non solo di usanze e pratiche divinatorie e propiziatorie ma anche fautori di un’altra antica tradizione chiamata Comparatico di San Giovanni (“cumparanza” in dialetto). L’etimo del termine deriva dal tardo latino: “compater ” formato da “cum-” e “pater” (o “mater”, nel caso di comare), cioè “secondo padre”, che poi fu identificato nel padrino di battesimo o cresima. L’appellativo molto più tardi fu esteso pure ai testimoni di matrimonio.
La genesi di questa sorta di “patto fraterno”, assolutamente incorruttibile, è, però, molto più remota e trovò fondamento all’inizio nei tratti specifici della società rurale arcaica, scandita dai ritmi circolari dei lavori agricoli che richiedevano molte braccia per assicurare, attraverso l’aiuto reciproco, la cura e la fertilità dei campi. L’intesa amicale così creata assunse in verità, da subito, il carattere di una specie di “vincolo sacro”,poiché la “comparanza” veniva stretta prevalentemente nel corso delle cerimonie che accompagnavano il solstizio d’estate, nel periodo in cui, cioè, le campagne necessitavano di lavori collettivi che si credeva avrebbero dato più copiosi frutti qualora fossero stati affidati a riti apotropaici, dapprima officiati in onore di divinità pagane e successivamente, affermatosi il Cristianesimo, in omaggio a figure particolari come S. Giovanni.
Ma perché proprio il Battista? La scelta cadde su questo Santo per motivi seri e profondi. Innanzitutto un peso notevole lo ebbe il racconto dell’episodio evangelico del battesimo di Gesù da parte di S. Giovanni Battista, colui, cioè, che lo precedette nel far fruttificare l’orto e la vigna del Padre (metafore agricole per indicare i suoi seguaci) e che con l’acqua benedetta sancì un patto sacro di aiuto reciproco, in secondo luogo S. Giovanni fu anche colui che ai piedi della croce da Cristo stesso fu indicato come suo fratello, con un vincolo non di sangue ma di elezione e condivisione al fine di aiutare la Madre nella sua pena.
Inoltre si diffuse in breve presso il volgo la fama che il Santo che battezzò Gesù fosse stato inflessibile con i traditori degli amici fidati ed inseparabili, come appunto divenivano i “compari”; da questo derivò l’ usanza di stabilire legami di comparatico proprio nel giorno dedicato al Battista e tale rapporto era concepito come sacro ed inviolabile, per certi verso liturgico, tant’ è che si soleva legittimare e benedire l’unione appena consacrata con il c.d. giuramento di san Giovanni. Chiunque l’avesse infranto o tradito sarebbe stato additato al pubblico disprezzo; inutile aggiungere che il vincolo, una volta instaurato, rimaneva valido fino alla morte in quanto puro e nobile sentimento dettato dalla reciproca stima, dal reciproco desiderio di volersi bene, di rispettarsi e di aiutarsi nelle avversità per tutta la vita.
Questa tradizione fu conosciuta, e lo è tuttora, come “u cumpari i sangiuvanni“, vale a dire rappresentazione sentimento dettato dalla reciproca stima, dal reciproco desiderio di volersi bene, di rispettarsi e di aiutarsi nelle avversità per tutta la vita. Il famoso antropologo Giuseppe Pitrè definì il comparatico di San Giovanni una «parentela spirituale a patto della quale la parentela di sangue cede spesso il suo posto».
Significativa in proposito è la grande popolarità in alcune zone del Meridione, ed in Sicilia in particolare, del detto “San Giuvanni non voli ‘nganni “ che si collegava evidentemente all’usanza del comparatico, un impegno talmente stretto e profondo che imponeva tutta una serie di severe regole e obblighi da rispettare al punto che il Santo che ne garantiva la serietà e inderogabilità non avrebbe mai ammesso che si venisse meno siffatti precisi doveri.
Il comparatico gradualmente mutò da patto posto in essere fra soggetti consociati, sodali, uniti sacralmente da una intesa di scambievole soccorso stabilita sì da interessi terreni ma sancita in nome di principi superiori tramite l’offerta, attorno ad un fuoco notturno, di preghiere e doni ad esseri trascendenti in un più pratico “accordo”, pur sempre favorito dalla consonanza ideale e morale tra i contraenti, ma avente scopi magari più prosaici, o attraverso la mediazione del battesimo o cresima di uno dei figli, o in occasione delle festività del giorno di San Giovanni Battista
Sulle prime quando ancora persistevano abitudini pagane la Chiesa tentò di svuotare di contenuti il patto d’amicizia e lealtà reciproca nato attorno ai fuochi solsistiziali, successivamente, detto patto nel tempo modificatosi parzialmente per sincretismo, ed assunta la definizione di “comparatico di S. Giovanni”, le autorità ecclesiastiche cominciarono a guardare ad esso come ad un < istituto> tutto sommato accettabile e compatibile con la dottrina cristiana, considerandolo sostanzialmente come una sorta di parentela spirituale che doveva garantire in caso di morte dei genitori del figlioccio il sostentamento di quest’ultimo e la sua educazione cristiana. Parimenti il comparatico, così ridisegnato, fu visto dai meno abbienti come un legame di protezione in caso di necessità e dai possidenti padrini, meno nobilmente, come una clientela da utilizzare in vari campi ed occasioni.

a Cumparanza: Legame con aspetti sacrali, saturo di significati simbolici

Infatti le relazioni di “comparanza” divennero via via talmente salde e forti che suggellavano spesso anche “alleanze” familiari. In passato avveniva di frequente, appunto, che il vincolo fosse finanche utilizzato per rinsaldare legami tra classi sociali diverse: il padrino aveva di norma uno status sociale “superiore” e ciò si sperava avrebbe potuto aiutare anche materialmente il figlioccio nella sua crescita; il numero dei figliocci era poi anche un indicatore dell’importanza e del ruolo sociale raggiunto da una persona.
Era, inoltre, considerata cosa davvero disdicevole, e lo è in parte ancor oggi, declinare la richiesta di comparanza, anche solo accennare, infatti, ad una possibilità di sottrarsi alla richiesta avrebbe fatto nascere astii difficilmente sanabili.
In conclusione la pratica del comparatico e delle sue ferree regole può oggi ritenersi in declino, sebbene conservi ancora in confronto ad altre tradizioni una sua relativa diffusione, poiché, come tante altre ritualità, non solo quelle a sfondo socio-religioso, ha conosciuto col trascorrere del tempo una perdita di tenuta rispetto alle dinamiche e modalità del passato.
Sebbene si sia tentato nel tempo di adattare il vincolo comparatico a quelle che sono le dinamiche della contemporaneità, purtroppo oggigiorno questo tipo di tradizione si è come svuotata da un punto di vista semantico ed i significati e le virtù morali in essa insiti si sono in effetti progressivamente alleggeriti, pur mantenendo in parte gli stessi contenuti simbolici, inscrivendosi tristemente in un contesto oggettivamente più superficiale e povero sotto il profilo valoriale.

Andrea Catalfamo

 

 

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